Mare e terme? Certo. Ma Ischia rivela anche presenze millenarie: dai Greci ai Romani, tra miti e leggende. Con reperti sensazionali custoditi a Villa Arbusto
C’è un’affascinante storia millenaria racchiusa in quarantasei chilometri quadrati. Perché Ischia racconta le vicende dei popoli che l’hanno abitata, innamorandosene. Svelando le preziose tracce di passaggi secolari, un avvicendarsi esaltante di riti e miti, dall’antichissima coltivazione della vite a quel gigante, Tifeo, che sbuffa sopportando il peso dell’isola, atroce condanna per aver sfidato Zeus.
Mare e terme, d’accordo. Biodiversità e geodiversità, con paesaggi unici al mondo. Ma l’Ischia archeologica non è certo meno intrigante: l’antica Pithekoussai (dai “pithoi”, i grandi vasi argilla di cui gli Eubei erano ottimi produttori), l’Inarime omerica, quel primo tassello dei coloni greci che ne fecero una colonia, la prima della Magna Grecia, prima di fondare Cuma.
Una storia intrigante e complessa, che ha vissuto di pari passo con l’effervescenza vulcanica dell’isola, come mirabilmente sintetizzato dall’archeologo Amedeo Maiuri, a lungo direttore del Museo Archeologico di Napoli e soprintendente alle antichità della Campania e del Molise: “Parve che il gigante Tiféo geloso della sua isola, non tollerasse intrusione straniera. E furono prima gli Eretriesi e i Calcidesi ad esser cacciati dai terremoti, dai maremoti, dalle esalazioni di fuoco e di acque bollenti e spinti a rifugiarsi sulla terraferma in vetta al monte di Cuma; poi fu la volta dei Siracusani di Gerone che, dopo la vittoria cantata da Pindaro, s’erano installati con i loro presidi sulle due rocche dell’isola: il “Monte Vico” e la "rocca del Castello”.
Presenze che oggi restano profondamente tangibili. E alle quali si aggiunge quella, non meno significativa, dei romani, con le antiche vestigia di un porto sommerso, nella baia di Cartaromana, recentemente portate alla luce dalla cooperativa Marina di Sant’Anna e dalla Soprintendenza ai beni archeologici.
E’ per questo che chi oggi visita Ischia non può prescindere da un salto all’indietro nel tempo. Con un punto di riferimento su tutti: il Museo archeologico di Pithecusae, a Villa Arbusto, che custodisce alcuni dei reperti più sensazioni rinvenuti nella necropoli di San Montano, a Lacco Ameno.
Uno su tutti, la celebre Coppa di Nestore, il cui ritrovamento porta la firma dell’archeologo tedesco Giorgio Buchner: sopra, un’iscrizione databile all’VIII secolo avanti Cristo, uno dei più antichi esempi di scrittura alfabetica. Un inno al vino di rara suggestione: “Chi beve da questa Coppa, - vi si legge - subito sarà preso dal desiderio di Afrodite dalla bella corona”. Serve altro? Nel caso, non perdete la Stipe dei Cavalli e il drammatico Cratere del Naufragio.
Dunque, il turista che abbia sete di conoscenza avrà fonti alle quali abbeverarsi: la storia del villaggio di Punta Chiarito, nella baia di Sorgeto, è ricostruita meticolosamente nel Museo lacchese. Siamo tra VIII e VI secolo avanti Cristo: il rinvenimento dei resti di tre capanne (con circa 300 reperti in ceramica e metallo) racconta la quotidianità dei coloni di un fondo agricolo.
Dai Greci ai Romani, che davanti al Castello aragonese avevano installato un porto commerciale: una barca dalla chiglia trasparente consente di osservare le strutture, recentemente riportate alla luce.
Di qui, è d’obbligo un salto al Castello aragonese. Un salto nel tempo premiato dalla magnificenza di un monumento-simbolo, la cosiddetta “insula minor”, l’isola minore, contrapposta all’insula maior, la stessa Ischia. La fortificazione impreziosisce una gigantesca roccia trachitica, derivata da un’eruzione di circa 300 mila anni fa.Visitandola si respira la storia: il pontile è del Quattrocento, a volerlo fu Alfonso V d’Aragona. Prima, a partire dalla costruzione del primo castello (474 avanti Cristo, con il greco Gerone, tiranno di Siracusa, beneficiario di una generosa donazione da parte degli alleati Cumani), lo si raggiungeva via mare. Fortino difensivo inespugnabile, fu – il Castello – rifugio contro i saccheggi di Visigoti e Vandali, Normanni e Angioini, prima di ospitare un numeroso insediamento urbano, dopo l’eruzione vulcanica dell’Arso del 1301.
Ma la sua identità è innegabilmente legata al periodo aragonese, cui deve il nome con il quale è conosciuto nel mondo: Alfonso V si ispirò al Maschio Angioino di Napoli, irrobustendo mura e fortificazioni. Nel Sedicesimo secolo il massimo splendore: 1892 famiglie abitavano il castello, tredici le chiese. Nel 1509 lo sfarzoso matrimonio, nella bellissima cattedrale dell’Assunta, oggi diroccata, tra Fernando d’Avalos e la poetessa Vittoria Colonna.
Visitare il Castello è un obbligo. Cercare la storia di Ischia in giro per l’isola può diventare affascinante: persino alla Fonte delle Ninfe di Nitrodi, a Barano d’Ischia, un momento di assoluto relax può intrecciarsi con la millenaria storia dell’isola, qui testimoniata dalla presenza di un piccolo santuario dedicato ad Apollo e alle Ninfe di Nitrodi, cui erano dedicate alcune lastre votive oggi conservate al Museo archeologico di Napoli (e riprodotte in loco). Perché a Ischia l’archeologia è vita. Basta lasciarsi affascinare: un incantesimo che si rinnova. Nei secoli.
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